LOLASOFT INC. © 1976

 

UNIT         : FOX ELECTRONICS 508-V01

CODENAME     : THE MONOLYTH

TIME UPDATING: 17.06.02 23:57 CET

CODENAME     : ROBBY

PAGE         : 020617

CHECKSUM     : OK

 

READING… 

 

 

 

 

QUEL GRAN MATTO DEL MIO AMICO ROBBY

Parlare di Robby sarebbe come spiegare i tortellini ad un marziano. Non li puoi raccontare perché non esistono le parole e non li puoi fotografare perché non direbbero nulla.Li devi solo provare a mangiare così come Roby va conosciuto. Potrei dirvi che ha una statua di una pin up grandezza naturale in mansarda, potrei dirvi che quella volta che lesse su una terrazza scritto a vernice:  "dottoressa Tamara" pensò ad una libera professionista del sesso e perse la scommessa con me (una pizza), dato che il padre di Tamara aveva festeggiato a modo suo la laurea della figlia. Potrei anche dirvi che regolarmente si perde per Bologna, sebbene siano oltre 30 anni che ci abita, e che per lui Carpi e Capri, sono la stessa pizzeria.

 

Insomma un amico, che più che un amico è un profeta contemporaneo, quasi un filosofo atipico, come gli dico sempre io, aggiungendo: "Fra 90-95 anni quando ti porterò i fiori sulla tomba farò scrivere sulla lapide: qui giace Robby, professione profeta contemporaneo quasi filoso atipico. Eri simpatico e brutto, ma hai avuto sempre un sacco di donne!".

 

Leggete i suoi scritti: sono quanto di meglio si possa interpretare di Robby. A confronto, le mie parole sono aria fritta. Quando uno è un profeta, è un profeta. E basta !

 

 

 

AD OGGI QUAL'E' STATA LA MIA PIU' GRANDE SODDISFAZIONE NELLA VITA ?

Ricordo bene, avrò avuto più o meno cinque o sei anni, abitavo in un vecchio palazzo con un grande cortile sempre esposto al sole che era frequentato da bambine, le mie compagne di gioco: io ero l’unico maschio di quella allegra compagnia. Credo sia difficile amare le donne a sei anni, specialmente quando sei solo, unico bambino  in mezzo a sei bambine; a sei anni non puoi condividere le tue idee, i tuoi progetti con delle piccole mocciose. Avrei cambiato idea molto presto ma in quel caldo pomeriggio estivo ero ancora una volta emarginato: le femmine sole indaffarate ai loro giochi ed io che sbirciavo invidioso non riuscendo a realizzare i miei giocosi progetti con nemmeno un compagno di gioco… 

Sbirciavo da dietro un antico muro totalmente scrostato e vedevo le bambine, mie coetanee, mentre preparavano la cena in piccoli tegamini di latta, la tavola imbandita e piena di piccoli piatti, bicchieri, bottiglie, forchette, coltelli, tovaglioli, acqua e tantissime altri giocattoli. Era una tavola all’aperto, estiva e festosa; si stavano divertendo e io ero dietro all’angolo, solo, che continuavo nel mio sbirciare, talvolta abbassavo lo sguardo verso terra, timido e pensieroso. Che fare? 

Aggregarmi significava sottomettermi: non mi sarei divertito... e poi che cosa avrebbero pensato gli adulti? "Guarda quel frocetto…". Dovevo inventarmi qualche cosa, qualche diversivo o meglio una vendetta! Improvvisamente mi ricordai di avere in mente un fantastico cavallo nero con una lunga coda di fili di seta luccicanti, un cavallo giovane e selvaggio come quelli dei grandi capi indiani. Possedevo anche un’arma! Cavalcando il mio cavallo nero mi recai in cantina per prelevare un vecchio ma efficace manico di scopa. 

Il pomeriggio era sempre più caldo e io ero felice con il sole che illuminava gli occhi del mio cavallo nero; ero un grande capo indiano pronto per combattere e difendere il suo territorio. Da dove mi trovavo riuscivo a malapena ad intravedere le mocciose intente a preparare con grande cura il tavolo, il tavolo imbandito per la festa, tutto incredibilmente simile alla realtà. Alcuni piattini erano in ceramica bianca con ricami blu... i piattini per le grandi occasioni. Prima di attaccare un capo indiano deve sempre calcolare tutto nei minimi particolari. 

Mi avvicinai al campo di battaglia senza farmi vedere e mi nascosi dietro il vecchio muro. Tutto era pronto per la festa. Aspettai qualche minuto, fino a quando le mocciose si sedettero per cominciare la grande merenda. Quando si sedettero, la più grande decise di servire la cena rimanendo in piedi vicino ai finti fornelli. Credo che fu quello il momento migliore per attaccare: il sole era al punto giusto ed ero certo che nessuna mi vide ben nascosto dietro quel muro. Era un buon muro quello... Ora non c’è più... Peccato!

Cominciai con l’ululato da guerra e il cavallo impennò, poi partì velocissimo. Sfoderai l’arma e l’impugnai tenendola ben stretta nel punto più basso così da manovrarla più energicamente possibile. Nel sentire il mio ululato tutte le bambine si voltano e rimasero abbagliate dal sole alto e dalla grandezza della mia arma…  Una frazione di secondo, un attimo, nemmeno, e mi accorsi subito cosa accadeva: nessuna di loro capiva che cazzo fare: ritirarsi o no, fuggire o no... ma non c’e il tempo. Ora era tardi, le bambine non facevano più in tempo a dire parole ma solo ad aprire la bocca per urlare, quando il bastone iniziò a colpire violentemente e senza nessuna pietà il tavolo. Tutto andò in frantumi, una mocciosa per non prendere bastonate scappò, cadde facendosi male ad un ginocchio. Iniziò a piangere ma io continuavo ad ululare e colpire, colpire senza sbagliare un colpo, fra ululati indiani, pianti di femmine, bocche aperte incredule e pezzi di plastica rosa/azzurra che schizzavano da tutte le parti. Fu un inferno.  Il loro inferno!

Senza pensarci due volte colpii con grande soddisfazione anche i piattini di ceramica: non rimase niente, solo macerie e pianti. E ululati. Le mocciose non ebbero la forza di dire una parola, ancora incredule, a bocca aperta. Mi innervosii ancora di più e ululai ancora più forte, abbandonando l’arma e scendendo abilmente dal cavallo per prelevare da terra un sasso di circa tre etti. Mirai perfettamente alla fronte della “cameriera” con la bocca aperta, dandole finalmente una reazione: chiuse gli occhi, si mise le mani sulla fronte poi urlando, pianse a dirotto, correndo invocando la madre. 

Ritenni che fosse il momento per ritirarsi, il mio cavallo nero si impennò per l’ultima volta e fu bene andare a rifugiarsi. Nel ritiro improvvisamente mi calmai e riflettei notando confusione e intontimento fra le mocciose. Qualcuna aveva ancora la bocca aperta, incredula, una era scappata, un'altra era a terra e gridava, l’ultima, la cameriera, si teneva la fronte sanguinate con la mano destra e continua a correre senza meta: sembra davvero impazzita. Vendetta fu fatta! 

Decisi di abbandonare il cavallo e nascondere l’arma. Speravo che le mocciose non mi avessero riconosciuto. Impossibile ci conoscevamo ormai da anni! Ero preoccupato per la mocciosa sanguinante, o meglio, iniziavo a preoccuparmi per quello che mi sarebbe successo non appena tutti i padri e madri sarebbero stati informati dei fatti. Che cazzo avevo combinato…!? 

Sparii per qualche ora, nascondendomi su un albero, poi in garage e poi non ricordo dove. Non successe niente. Aspettai. Forse sarebbe stato meglio fuggire. Ma fuggire dove ? Più passava il tempo e più prendeva forma il piccolo stronzetto indiano. 

Si fece sera, è fu l'ora di cena: dovevo rincasare. Mia madre mi chiamò dalla vecchia finestra, come faceva ad urlare così forte? Eravamo a tavola mangiavamo in silenzio, mio padre sedeva alla mia destra e io ero sempre più preoccupato. Ma non succedeva niente. Tutto sembra come tutti i giorni. Nel bel mezzo della cena qualcuno bussò alla porta. Era il padre della mocciosa sanguinolenta: senza guardarmi in faccia, in segno di disprezzo raccontò i fatti ai miei genitori enfatizzando ogni particolare. Ricordo bene, tutto il racconto venne esposto dall’uomo in dialetto, usando talvolta qualche parola in italiano, io ero già perfettamente in grado di capire ogni parola anche dialettale. Mio padre si alzò e con un balzo cercò di agguantarmi. Fuggii… 

A tutt'oggi mi devo ancora fermare…

06.10.2k

 

 

IL MONDO DI CIARLI - Di Robby. 

Il mio amico Ciarli abitava in una piccola frazione di provincia, non lontano dalla stazione centrale ma questo non ha importanza. Il fatto è che Ciarli aveva una marcia in più, la gente lo sapeva, ma non lo ammetteva. Ciarli faceva il fabbro, lavorava il ferro caldo, ma le regole le dettava lui, ovvero se gli chiedevi un cancello lo dovevi accettare come diceva lui e non come volevi tu. Ma Ciarli, porca vacca, non aveva la moneta per comprare il ferro! 

Mi ricordo che un giorno un tizio di Alfonsine (RA) che gli chiese una porta di dimensioni ben precise, ma quando il cliente ritirò la porta finita, si accorse che Ciarli l'aveva costruita molto più piccola, esattamente la metà di quella richiesta. "Ma come, signor Ciarli, lei non ha rispettato le dimensioni che le avevo dato!"

"D'accordo, ma non avevo abbastanza soldi per comprare il ferro, come potevo fare? E poi dov'è il problema, si può sempre stringere il muro ed entrare in chinino o meglio in ginocchio… la casa è sacra!" 

"Signor Ciarli vada a dar via il culo, lei non beccherà un quattrino!" 

"Ehi signore di Alfonsine... ma dov'è il problema? Non voglio i soldi, ma la prego, si prenda la sua porta, mi sono impegnato tanto per costruirla…!" 

"Ma vaffanculo va… fabbro di merda!" 

"Strana davvero la gente di Alfonsine…" pensò tra se e se Ciarli.

Ebbene, i clienti non pagavano e Ciarli aveva sempre meno soldi per comprare il materiale così costruiva dei manufatti sempre più piccoli rispetto a quello che gli ordinavano i clienti. Un giorno Ciarli superò se stesso, costruì un tavolo talmente piccolo che per vederlo occorreva una lente di ingrandimento. Ma niente soldi per Ciarli, nemmeno con la lente d'ingrandimento… 

Non erano importanti i soldi per Ciarli! Ciarli era un artista.

Un brutto giorno il direttore della banca convocò Ciarli: "Buongiorno Ciarli, le devo dire che lei ha il conto in rosso, non possiamo andare avanti in questo modo… molto presto le sequestreremo tutto quanto." Ciarli con aria persa e distratta rispose: "Signor direttore dov'è il problema? Mi dia un libretto che le faccio subito un assegno." 

Il direttore iniziò ad urlare come un pazzo: "Ma che sta dicendo? Ha anche il coraggio di prendermi per il culo, chiamate la polizia finanziaria!" 

"Ehi Signor direttore non si arrabbi! Mi dia un libretto che le faccio subito un assegno! La pago e siamo a posto..." 

Questo era il mondo di Ciarli... 

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FAENZA - Dove tutto si fa senza - di Robby

Baldo era un noto giornalista, conosciuto in tutta la contea. Egli era professionalmente molto esperto, aveva intervistato un sacco di personaggi: gnomi, minotauri folletti, farfalle giganti, grilli parlanti e via dicendo. Un bel giorno decise così di dedicarsi a un grande progetto, la stesura di un libro maestro dal titolo: "Cosa si mangia nelle piccole cittadine italiane?". Un libro del genere non poteva interessare a nessuno, ma questo non era importante per Baldo, l'importante era scrivere.

Così Baldo si diresse verso nord ovest per chilometri e chilometri, giorni e giorni e finalmente arrivò in una cittadina chiamata Faenza. Aveva già sentito parlare di questa cittadina ma non immaginava che fosse così strana: era vero il proverbio: "a Faenza… di tutto si fa senza!" A Faenza le foglie erano senza alberi, gli uomini senza donne, le donne senza uomini le fabbriche senza operai e gli ospedali senza ammalati, porca vacca, in tutte le cose che lo circondavano mancava sempre qualcosa di fondamentale. 

Baldo non si dava pace, non capiva come potessero funzionare le cose a Faenza… In ogni caso bando alle ciance, Baldo era un professionista e doveva pur cominciare a prendere appunti per il suo nuovo libro, ma da dove cominciare? Decise così di fermare una giovane donna che aveva intravisto in lontananza, ma ahimè, quando ella si avvicinò Baldo notò che era a petto nudo, senza reggiseno con due enormi zinne al vento che saltellavano allegramente. 
"Scusi signorina le posso chiederle un'informazione?" 

"Certamente, mi dica" 

"Mi scusi ma credo che lei abbia perso la maglietta per strada e forse anche il reggiseno, comunque complimenti per il suo bel seno" 

"Ma no, coglionazzo, lei si sbaglia, io sono una giovane donna di Faenza e del reggiseno faccio senza…" 

"Molto bene, che idiota che sono potevo anche immaginarlo…" Baldo con lo sguardo da mentecatto e molto incuriosito, chiese:

"Mi scusi, gentilmente, qual' è il piatto tipico di questa città, sa io sono un giornalista e sto scrivendo un bel libro maestro?" La giovane donna rimase un attimo in silenzio e aggiunse:

"Ma lei non sarà mica il noto giornalista Baldo, conosciuto in tutta la contea?" 

"Esatto, come fa a conoscermi?" 

"Ho visto la sua foto sul giornale quando due anni fa venne arrestato per bancarotta fraudolenta, mi farebbe cortesemente un autografo su una tetta!" 

"Come no, ecco qua" Baldo sfoderò la penna biro, impugnò delicatamente una zinna e la firmò. Mentre Baldo scriveva la giovane donna disse:

"Il piatto tipico, qui a Faenza, sono i cappelletti senza sfoglia e si possono mangiare al ristorante del grande centro centrale a poche centinaia di metri da qua…" 

"Molto bene signorina, grazie mille per l'informazione a ancora complimenti per il suo fantastico seno". 

"Grazie Baldo e buon lavoro!" 

Baldo arrivò al centro centrale, un enorme edificio dai mille colori, e dalle mille entrate, centinaia e centinaia di persone che andavano avanti e indietro, ma del ristorante nessuna traccia. Si diresse così verso un grande porta e quindi bussò:

"Scusi, posso entrare? Vorrei chiedere un'informazione…" 

Baldo improvvisamente vide all'interno della camera uno strano tizio ricurvo su se stesso che si stava violentemente masturbando. Questo era veramente troppo per Baldo ma ormai era dentro, non poteva andarsene, così disimpegnò:

"Oh mamma mia, mi scusi, vedo che lei è molto impegnato, me ne vado subito…" Il tizio senza interrompere la sua opera disse:

"Ma non si preoccupi, non c'è problema, piuttosto vuole partecipare anche lei?" Baldo molto imbarazzato rispose:

"No la ringrazio, lei è molto gentile, io, mhmhh, io volevo solo sapere dove era il ristorante dove si mangiano i cappelletti senza sfoglia, ma è lo stesso non si preoccupi". 

Il tizio ormai affannato ma comunque sempre molto preciso nei suoi movimenti masturbatori, rispose:

"Guardi ehh, guardi, coglionazzo, io sono un uomo di Faenza e della gnocca faccio senza e bada bene, questa è la stanza dove si scopa senza gnocca, per i cappelletti senza sfoglia, avanti dieci metri" Baldo senza capire perché tutti lo chiamavano coglionazzo ringraziò, salutò e chiuse la porta. E grattandosi il mento rimase assorto qualche secondo poi, alla fine decise di cambiare soggetto e titolo al suo bel libro maestro: 

"FAENZA: DOVE DI TUTTO SI FA SENZA" - Scritto da Baldo, detto il coglionazzo. 

Si sedette un attimo, inclinò leggermente il culo poi in silenzio scoreggiò, ordinò un caffè senza zucchero e cominciò a scrivere i primi appunti nel suo taccuino: 

"Un bel dì mi recai a Faenza, dove di tutto si fa senza,…"

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