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READING… 

  

 

 

 

 

 

MARZIA GROSSI

È un’amica selvaggia, cioè libera: non è mamma e non è moglie. Per scelta. Ma è una donna con un cuore che a volte…

Pubblico volentieri questo suo racconto perché penso che trasmetta molte emozioni. Moltissime.

 

VACANZE ROMANE 

Gli amori più intensi sono come le comete: arrivano d’improvviso, ti illuminano il cuore e lasciano una scia di lacrime.

di Marzia Grossi

 

Mi sono sempre chiesta se mai fossi nato uomo cosa sarebbe successo alla mia vita. A volte me lo chiedo ma solo a volte. Molto più spesso penso che poi alla fine sto bene così, qua nella mia piccola città di provincia dove l’aria di salsedine si mescola a quella di bosco. In fondo la vita selvaggia mi ha sempre acchiappato e anche questa cittadina lo è sufficientemente. O almeno lo credevo fino al giorno che… 

La mia vita si è sempre contraddistinta per quella linearità che non riesce nemmeno a dividere la monotonia dall’emozione. Non sono certo un’ingessata canonica morta di sonno, ma non sono nemmeno quella simpatica “cazzara” costantemente a 78 giri. E anche quei due gattini che condividono con me il loro lussuoso zoo, non sono ne tigri ne pecore. Come me del resto: ne falco nero ne colomba bianca, semplicemente libera e un po’ selvaggia al punto tale che ho preferito una libertà assoluta e solitaria, al vincolo amoroso di un compagno. Quando sei verso gli “anta” l’assenza di un compagno forse giustifica l’assenza di figli sebbene non ne sia a priori contraria, tuttavia non so se stia bene o male ma oggi è così. Domani vedremo. Quando gli altri pronunciano il mio nome lo fanno spesso con il cuore o comunque con quel tono che trasmette qualcosa di più di un semplice nome. Forse perché so di essere carina e simpatica (Ma senza esagerare…) e anche un po’ malinconica se vogliamo, ma sentire spesso dire Marzia così come lo dicono alcuni miei conoscenti mi fa essere orgogliosa di essere donna.

Quella sera non era una sera speciale: Natale era abbondantemente passato, anzi, doveva ancora venire, Pasqua ancora di più e le ferie estive erano tristemente terminate. Roma in questo periodo offre davvero serate piacevoli, tiepide e senz’afa così come le ricordavo nel mio passato soggiorno. Poi quel lavoro mi fece emigrare verso la provincia forse un po’ assonnata, ma sicuramente dove ci guadagni in salute. Con Lola eravamo amiche da quella sera del 2002 che, in un locale della mia città fece una serata: lei era un artista dilettante che, più per piacere personale che per necessità, girottava mezzo stivale tra discoteche, discopub e amici/amiche varie. Diceva sempre che erano quelle le sue vere vacanze: l’andare a zonzo a trovare gli amici e fare qualche serata, non certo l’andare in villeggiatura carceraria di qualche Rimini ferragostiana. Non ho mai capito se erano i locali che la chiamavano come ospite e attrazione, oppure lei che pagava il biglietto come il pubblico normale. Forse un po’ l’uno e un po’ l’altro o forse un mix delle due cose, sta di fatto che anche quella sera, nella mia città, era tra le guest star, come pubblicizzavano le locandine e i giornaletti pubblicitari nei bar. 

Dopo quella serata numero “zero”, mi auto invitai alla prima seguente che organizzò, cioè no. Le chiesi infatti apposta di organizzare quella prima serata quasi come per farmi un bel regalo. E lei lo fece. Una serata romana in mio onore, in un locale del centro storico nella città centro del mondo. Insomma, io sarei stata il centro della serata, al centro di Roma al centro del mondo cioè… io perno dell’universo! Solo che tra una cosa e l’altra, inevitabilmente saltò fuori ben più di una semplice serata mondana: una 2 giorni vissuta assieme alle sorelline del gruppo, condividendo con esse ogni minuto, ogni momento, dalla mattina a notte fonda. Dormivamo praticamente tutte nello stesso albergo per cui eravamo divenute una grande famiglia. Tra le persone partecipanti all’evento, ce ne fu una che ebbe l’effetto su di me come una fucilata. Un proiettile che parte, ti colpisce e ti dimentichi di tutto quello che ti sta attorno. Era lei, la piccola dolce Chicca dall’apparenza fragile e dagli occhi oltremare dove immediatamente ci naufragai. Entrai nella sua stanza confinante con la mia mentre si stava profumando ritoccandosi i particolari del trucco. Presi il fulmine riflesso dallo specchio, quello stesso specchio che rifletteva la sua colorata immagine dalle mani plastiche e ritmiche che in gesti misurati e sapienti, passava l’ombretto sulle sue palpebre. L’aria si stava riempiendo di un profumo di cosmesi che diveniva un sogno ad occhi aperti, ed il ricordo oggi vuol dire solo lei e quel profumo. E vorrei dannatamente poter risentire quell’odore in quella stanza in quel pomeriggio di quella vacanza romana. Ma mi ritrovo sola, solo a scrivere questa mia, solo in presenza felina di Micio e Mao che mi guardano con i loro occhietti gialli e si chiedono se quella lacrima scende o no. 

Tornando con la mente a quel pomeriggio onirico e fatato, magico e colorato, ricordo che la vista dello specchio, la vista di lei, la sua presenza magnetica, l’aria che pulsava, mi fece sentire il sangue effervescente. Trattenni il respiro e cercai di spostare l’attenzione su altro… Ma l’ambiente sembrava come asettico da quel magico momento che stavo respirando. Ho sempre amato l’uomo e il suo mondo ma mai avevo provato un’attrazione tale per un essere che, sebbene uomo, si presentava a me come una splendida creatura femminile. Ma la cosa non mi preoccupava: non erano i perché a darmi da pensare come piuttosto il cosa vedevo! Nel giro delle poche ore seguenti, ci ritrovammo assieme ad una affollatissima festa, una delle tante della capitale, una delle tante aperte anche ai minori, una delle tante in una notte di mezza estate dove al centro del centro del mondo stava succedendo di tutto. Almeno a me! La dentro, in mezzo a quel labirinto umano, persi il contatto con Chicca. Cercavo,cercavo ma non la vedevo e soprattutto non la sentivo. E non erano certa le migliaia di watt musicali a non farmi più sentire Chicca. Avevo perso il contatto interiore con lei. Quel filo che mi pareva avesse legato i nostri cuori per pochi momenti precedenti, non c’era più. Si era forse rotto? Ero rassegnata. Vedevo il tempo passare, la gente passare, sentivo i dischi passare ma non sentivo Chicca attorno a me. La sua assenza mi stava creando una tale aridità che nemmeno il gin tonic del bar riuscì a sbandarmi la testa. Nulla di nulla. La Chicca era più forte del più forte dei gin tonic. Mi stavano rubando il tempo e anche Chicca. Si il nostro tempo, mio e di Chicca perché oramai avevo deciso che lei era mia e con noi anche il nostro tempo. Ma non era così. Stavo naufragando e non solo nei miei gin tonic…

Mi concentrai e pensai alla cosa più assurda che in quel momento potessi fare. Portargli la luna? No. Molto di più: decisi che sarebbe stata lei a venire da me. Certo, dopo questo avrei potuto benissimo prendergli la luna e donargliela come pegno del mio giurato amore ma prima… Scelsi un punto dell’enorme sala che potesse essere particolarmente visibile e feci in modo che… anzi non feci proprio nulla. Mi posai li statuaria, in attesa come del mio autobus preferito su misura per me, scelto da me, voluto da me. Non passò molto che sentii gli anelli di una mano vellutata posarsi sulla rosa tatuata che ho sulla spalla sinistra. L’avevo fatta fare perché avessi sempre un fiore da donare al mio lui, ma stavolta era lei che aveva scelto di donarmi il mio fiore. Il cuore sobbalzò ma la rosa nella sua mano no. Anzi… Fu un momento in cui non sai se stai toccando il cielo con una rosa profumata oppure stai sognando e temi che una volta sveglia la rosa abbia solo delle grosse spine. Sapevo che era lei ma ciò nonostante mi voltai di scatto trattenendo il respiro e anche la… rosa. La vidi. Li, davanti da me. Bellissima. Non dissi nulla e lei non disse nulla, ma sapevamo già cosa fare. La presi per mano, per non perderla più e la portai dall’altra parte del locale in un luogo appartato per trascorrere le ultime ore, le briciole di una serata di fuoco in sua compagnia. Parlammo, ridemmo, ci raccontammo, ci scoprimmo e scoprimmo come sfrecciava il tempo, e non lì come due bambine non ce ne accorgevamo. Erano momenti fuori da ogni dimensione temporale. Non contavano più i secondi, non contavano più i minuti e nemmeno le ore. Contavamo solo noi due. Io per lei. Il resto, il tempo, la gente non aveva più un suo significato. 

Dopo un tempo incognito di isolamento da tutto, la compagnia degli amici con cui eravamo arrivate li, dandoci per disperse in sala, iniziò le ricerche, un po’ di qua e un po’ di là… Le due anime, noi, eravamo davvero anime perse per il mondo. Ma dopotutto che ci fregava? Io guardavo lei e lei guardava me. E li, che sentimmo le loro voci, quelle della squadra soccorso e recupero anime perse. Con uno stratagemma di tattilità puramente femminile, tornammo in albergo sole, isolate dal gruppo, quindi io salii nella sua stanza. Andammo avanti con i discorsi riprendendoli da dove li avevamo interrotti pochi minuti prima. Chicca mi propose di condividere i suoi sogni restandogli accanto per tutta la notte ma io non me la sentii. Non so se avevo più paura di sognarla o di perderla. Avevo solo paura e basta. Paura dell’amore? Forse… Non lo so… Non ero pronta. Sentivo che il tempo non aveva fatto ancora il suo corso. E poi c’erano le altre, quelle in camera con me. Che gli avrei raccontato? Ma si, una bugia non costava nulla, tuttavia, boh… sentivo che dovevo fare così e basta. Tornai nella mia stanza sapendo che la scelta che stavo facendo non era quella che avrei veramente voluto. Mi rintanai sotto le lenzuola cercando nei pensieri notturni un po’ di sonno. Nulla. Il sonno non riusciva a trovare posto nella mia testa in cui vi era solo una cosa: Chicca. Il ricordo di quegli occhi tagliati come una pietra preziosa, e le emozioni provate, e il suo profumo… Tutto questo mi conferiva un senso di disperazione. E il tempo trascorreva. E anche la notte con i suoi lunghissimi silenzi che però ti dicono tutto. E mi stavano dicendo che ancora poche ore e sarei partita… Per sempre o quasi. Lei si sarebbe fermata ancora qualche giorno in città mentre io, io no. Avrei preso la mia macchina e me ne sarei ritornata a casa. Il solo pensiero non rivederla più mi tormentava e mi pesava come un macigno. Oramai il cuscino era intriso di lacrime, lacrime che esigevano una soluzione a quella notte così buia con me stessa. Non sapevo che fare e continuavo a versare lacrime.

Ad un certo punto una reazione istintiva mi buttò quasi letteralmente giù dal letto. Uscii dalla stanza, attraversai il corridoio e bussai alla sua porta. Ma non mi aprì. Mille domande affollarono i miei pensieri in quel momento ma solo una risposta trovò soluzione: Chicca sta dormendo. Ritornai in camera. I singhiozzi che avevano sostituito le mie lacrime, mi morivano in gola. Non dovevo e non volevo farmi vedere in quello stato li dalle altre. Non volevo e basta. Cercai nell’ombra buia e grigia della notte, tra le silhouette degli oggetti, un qualcosa, un’idea, una luce illuminante. Racimolai un pezzo di carta, un residuo di confezioni di collant. Ne utilizzai una parte per scrivere d’impulso due righe, quelle poche parole che la penombra permetteva e che provenivano dal mio tormento interiore . “Buonanotte ultimo amore! Ciao, ancora un saluto prima della mia partenza. Porto con me la rosa, ma ti lascio il cuore che mi hai rubato. Addio ultimo amore!” Era l’ultimo contatto prima di scomparire nel nonnulla. Non potevo portarmi le lacrime per tanto tempo. Non so se avrei retto. La conoscevo da poche buie ore ma l’amavo già da anni luce. Andai, a lacrimoni nel buio, verso la sua porta, ma poi cambiai idea e rientrai col bigliettino. Pensai che sarebbe forse stato meglio darglielo il giorno dopo. Non so il perché, ma mi sentii di fare questo e capii anche che tutto questo era giusto perché rimessami poi sotto il lenzuolo, trovai definitivamente sonno.

La mattina seguente scappò in un corri di qua e corri di la per sistemare le ultimissime cose per la partenza. Il mio addio. Ma dal cellulare si lesse un nome: era lei che chiamava. Ero felice, l’avrei rivista, baciata, toccata ancora una volta… Scendemmo nella hall dell’hotel per i saluti con il resto del gruppo e naturalmente tra tutte c’era la Chicca, proprio li di fronte a me. Io non volevo andare via e tradendo i miei istinti sussurrai la mia intenzione di fermarmi ancora qualche ora. Qualche ora ancora, le ultime, di una vacanza romana nostalgica e terribilmente dolce. Qualche ora ancora magari verso le bancarelle di Porta Portese dove la gente è schietta e genuina. Chissà che ne sarebbe stato del mio amore? Ci perdemmo tra la folla ed i banchi di un mercato… Tra un urlatore ed un imbonitore… Tra un trasteverino e un cingalese… Quello era il mondo, ma per me il mondo era Chicca. Ero felice come se il mondo fosse tutto mio, e non pensavo ad altro che a lei e a ciò che mi trasmetteva. Decisi quindi di darle il bigliettino che avevo scritto nella notte, e senza guardarla negli occhi glielo porsi. Ancora una volta, senza sapere il perché mi ritrovai figlia di un gesto banale, apparentemente freddo e insensato. Non guardarla negli occhi… Chissà poi perché? Erano la cosa più bella che aveva.

Naturalmente le due ore si dilatarono per tutto il pomeriggio, nella sua stanza di albergo, a ridere delle stesse cose… pensavamo le stesse cose nello stesso modo. Baciarsi era tenero e per me incredibilmente sconvolgente. Anche scoprire le espressioni e le movenze di una donna in un volto maschile era dannatamente piacevole. E ancora, fuori, le tenebre della notte ebbero il sopravvento sul sole e le nubi. Oramai dovevo andare, ma non ne avevo la forza ne nello spirito e ne nelle gambe. Ancora un minuto, un secondo, una frazione di quella stupenda vacanza romana. Ritardai ulteriormente la partenza ancora di una notte e fu davvero la nostra prima… insieme… Quando la mattina seguente mi svegliai, senza far rumore, mi chiusi in bagno per prepararmi definitivamente anche se avrei preferito lasciarla dormire e uscire e scappare via dalla sua vita silenziosamente. E ancora una volta l’ennesimo pezzettino di carta, un foglietto di recupero, fu il portavoce di un nuovo malinconico impulsivo addio: “ Non voglio fare del male ne a te ne a me. Scegli tu se sarà solo una vacanza romana o no ma sappi che io ti amo.” 

Misi il foglietto sullo specchio del bagno e ancora tra le lacrime, in silenzio andai via. I giorni trascorsero vuoti, grigi, assenti di quella luce che avevo ricevuto e che tanto mi mancava. I vuoti erano incolmabili. Le ore dilatate scandivano giornate insignificanti in quel grigio ufficio in cui lavoro. Mi mancava tutto di lei, i suoi occhi, i suoi baci, il suo profumo e anche una sua foto. La disperazione era la sola mia unica compagna. Avrei voluto scappare per cercarla nel suo nebbioso padano nord, per riassaporare il sole e l’amore romano ormai un lontano e nostalgico ricordo. L’unica cosa che percepivo erano piccoli segnali tecnologici della sua presenza: sms via cellulare, brevi telefonate, che tra l’altro di circostanza, mi facevano sentire perduta. Non mi bastava più tutto questo. Io volevo solo Chicca, più di ogni altra cosa. Avevo incontrato una persona speciale e nonostante ciò ero consapevole di doverci rinunciare. Se da un lato la desideravo con tutta me stessa, i giorni che trascorrevano, pesanti come macigni, mi caricavano solo di insicurezze. Rivivevo ogni minuto trascorso insieme, attimo per attimo, provando ad attribuire dei significati logici, salvo poi che dopo pochi minuti tutto era di nuovo messo in discussione. 

Anche lei ritornò nella sua città a 400 km. da me e questa distanza contribuiva solo a dannarmi l’anima consapevole non solo dei Km. ma anche delle montagne che ci separavano. E che amplificavano ulteriormente il mio tormento. Ci risentimmo 1000 volte al telefono e 1000 volte rivivemmo quei dolci momenti trascorsi, ogni emozione condivisa, ogni minuto della nostra vacanza romana. Telefonate intense e forti almeno come il mio amore per Chicca. E lei ne era consapevole. Ma sembrava quasi che tenesse ben chiuso dentro tutti quei sentimenti contraccambiati a Roma e anche al telefono. Percepivo in lei un certo ermetismo ma questo era certamente da attribuirsi al suo carattere, aperto ma un pochino introverso quanto equilibrato. Ma si… tutto tornava… E fu fra una chiacchiera e l’altra che maturammo la decisione i vederci per un prossimo week end. 
- Vieni tu da me che hai l’auto adatta a fare tutti questi km. ? - Fu la mia speranzosa domanda. Ma lei era stretta con i tempi e con il lavoro per cui scelsi di andare io a trovarla, seppur sobbarcandomi 7 ore di treno. La mia auto non era certo adatta a fare tutti quei km. di montagna. 

Arrivò il week end e con esso la mia massima gioia. Ma non era quell’emozione provata 20 gg prima nella capitale. No. La mia era piuttosto una felicità maturata anche con le sofferenze che questa storia d’amore bellissima mi aveva costretto a portare avanti. Una presa di coscienza di un sentimento più bilanciato e non frutto della passione come a Roma. Arrivai in stazione e la vidi. Il cuore mi scoppiò ma non nei toni con cui lo fece 20 gg prima. Anche lei era radiosa ma non appariva innamorata Mi fermai da lei 3 giorni che filarono via come un missile. Essere nella sua casa, toccare i suoi oggetti, mi dava un senso di intimità e di famigliarità e poi vederla persino preoccupata che io stessi bene, mi riempiva letteralmente di tenerezza Mi portò per le piazze più antiche della sua artistica città e fu divertente entrare nei negozi di moda per provarsi assieme le cose che ognuna sceglieva per l’altra La reciproca complicità femminile era davvero ai massimi livelli. Ricordo il truccarsi assieme e lo specchiarsi poi in bagno come fosse un gioco mai provato prima così come indossare i suoi abiti Lei mi insegnò a camminare sui tacchi con disinvoltura e a tirar fuori tutta la mia femminilità, quella che hai talmente da tanto tempo che quasi te ne dimentichi e la lasci li, inerte, in attesa… di Chicca! Ricordo ancora la sua tenerezza e la sua premura nei miei riguardi, la prenotazione presso un ottimo ristorante e tutti i sapori che contraddistinguono la cucina della sua terra. 

Dopo la cena rientrammo mano nella mano. Salii su da lei, ci buttammo sul divano e tra un bicchierino e un bacino la serata prese corpo. In questi momenti di intimità fu come riscoprire sensazioni già provate, anche se la sua parte femminile dominava ogni nostra effusione azzerando tutto il resto. Io infatti desideravo possederla e volevo essere posseduta ma lei non rispondeva. Provai a farmi avanti ma dovetti cedere. Riprovai ancora e poi, più tardi ancora una seconda volta. Ma nei suoi occhi non vedevo più due smeraldi, non vedevo più il sole, non vedevo più il mio amore riflesso e nemmeno il ricordo delle vacanze romane. Nei suoi occhi percepivo una drammatica presa di coscienza che forse nemmeno lei pensava di non controllare. 

La tragica tremenda realtà invece aveva fatto i conti con la sua personalità, tenendola lontana dal mio corpo. Mi adorava, mi guardava come un bambino, mi faceva tenerezza ma non potevo fare nulla. E nemmeno lei. La cosa che lei forse temeva di più era una mia negativa reazione. Forse che avrei sbattuto la porta e me ne fossi andata via svergognandola. No. Le volevo troppo bene e la mia sofferenza era decuplicata. Lei in me vedeva solo una dolce compagna ma non un amante. Io piangevo tutta la mia impotenza davanti ad una situazione incontrollabile. Lei capiva che le mie lacrime non erano contro di lei ma a comprensione di una storia che non poteva avere luogo. E purtroppo nemmeno seguito. L’amore se non è completo è solo amicizia! L’accarezzai trasmettendole tutto il mio appoggio morale, e poi tra le lacrime mi girai dall’altra parte e mi addormentai. Alla mattina un brivido gelido mi svegliò. Una sensazione strana di solitudine, incubo e rassegnazione. Mi girai ma lei era assente. La chiamai più volte prima di capire che era uscita. E che faccio ora? Dov’è andata? Mi alzai e trovai un ennesimo biglietto, quasi una continuazione dei miei precedenti della serie romana. “Scusami ma non è colpa mia. Non mi cercare più, non avrei il coraggio di guardarti. Non credevo… Lo so che lo sai ma ora è difficile anche per me. Perdonami ma non so più chi sono. Ti amo tantissimo ma non posso. Addio per sempre”.

A fianco 15 euro con la scritta “Questi sono per il taxi.” Avevo solo una cosa da fare: le valige e partire per sempre con il cuore a pezzi. Il cellulare era staccato e non sapevo dov’era anche se me lo chiedevo continuamente ogni due minuti. La immaginavo a tratti in un giardinetto sola a meditare, a tratti invece pensavo che se ne fosse andato a piangere lontano da casa. Forse da un amico a trovare conforto. No, più probabilmente in giro a cercare una propria identità e una adeguata collocazione sociale. Cercavo in ogni passante il suo viso, i suoi occhi, la sua voce.

Anche il tassista aveva il sorriso che mi ricordava Chicca, e persino la voce del megafono della stazione, ma forse era solo l’accento che sembra tutto uguale nelle persone di una città lontana dalla tua. La giornata piovosa, grigia e nebbiosa conferivano al mio viaggio qualcosa di ulteriormente malinconico e nostalgico. Un ultimo viaggio sola con me stessa e del mio carico di tristezza. Ancora lacrime al pensiero di come avrebbe potuto essere un week end, ed invece come quel biglietto per casa mia lo aveva fatto drammaticamente terminare. Il mio viso accostato al finestrino del treno appannava col respiro la visuale che scorreva via veloce nascondendomi agli altri viaggiatori in tutta la mia malinconica tristezza, quasi come in una sorta di vergogna. Tante goccioline d’acqua strisciavano il vetro esterno e altrettante di lacrime scendevano all’interno in una sorta di reciproca compensazione. Tu bosco, tu lepre, tu fagiano hai le tue lacrime di pioggia ed io qua a condividerle con te. Ma se le tue lacrime strisciano sul finestrino a velocità folle, le mie scendono lentamente, una ad una lasciando sul pavimento chiari ed inequivocabili segnali del mio dramma. 

Cercavo invano conforto nel mondo esterno ma l’unica persona che poteva fare qualcosa non esisteva più. Ogni tanto mi guardavo furtivamente attorno per vedere che guardavano i compagni di viaggio, ma poi tornavo con la testa li attaccata al finestrino a veder scorrere gli alberi e le montagne a folle velocità. In ogni montagna, in ogni nuvola che vedevo, cercavo il viso di Chicca ma non lo trovavo più. Ripercorrevo tutto quello che era stato il nostro mondo da quella stupenda e maledetta vacanza capitolina: il suo trucco, il suo profumo, il bigliettino, Porta Portese, le giornate vuote, la sua città, il suo addio… Mi chiedevo che prezzo stavo pagando per un amore forse tutto sommato sbagliato nato probabilmente nel momento sbagliato. Un biglietto pagato molto caro e le lacrime contro il finestrino che sgocciolavano per terra lo dimostravano. 

- Prego signorina, il biglietto… - La voce del controllore chiara e formale. 

- Ma io ho ancora un biglietto da pagare dopo tutto questo? – Penso. 

- Oddio… e ora? Ma si, chi se ne frega… - Poi ad alta voce gli rispondo: 

- Ecco qua. - Ma al ferroviere non sfugge nulla: 

- Qualcosa non va signorina? – Io lo guardo dal basso verso l’alto con gli occhi rossi e gonfi, e aggiustandomi lo sguardo con il fazzoletto, singhiozzando, gli confesso la verità: 

- Pensavo di scoprire un amore e invece ho scoperto un dramma - 

- Non si preoccupi signorina, il dramma finisce ma la stagione operistica continua! –

 

Si, oggi come oggi mi rendo conto che quel ferroviere in realtà è stato un profeta. O un padre. O forse tutt’e due. Il dramma, è vero, finisce, ma la stagione delle opere va avanti. Ed è effettivamente proseguita. Altre grandi feste si sono avvicendate in questi 3 mesi, e se sono state stupende e divertentissime commedie e non certo drammi sentimentali, sicuramente è stato grazie ad un nuovo modo di gestire il mio rapporto con queste donne un po’ speciali. Chicca è sempre la, ci vediamo, ci sentiamo, ma non ha più gli occhi tagliati come un diamante e il suo sguardo è ancora bello ma non più magnetico. Lola mi dice sempre che la soluzione di tutto è dentro di noi e che sta in noi scavare per farla emergere. Ma forse lei parla così perché la fa facile. O forse è effettivamente più facile di quello che sembra… Con delle amiche come loro potrebbe essere… 

 

Marzia Grossi – Ottobre 2002

 

 

 

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